Realizzare l'adattamento a fumetti di Wall.E è stata un'impresa. Non solo perché notoriamente gli adattamenti dei film sono un po' una rogna (cambiano la storia in progress, devi stare dietro alle milioni di correzioni che chiedono, ogni step necessita di approvazione dagli studios...) e non solo perché ero alla mia prima esperienza nel campo e per molti versi sono ancora un novellino, un novellino sfacciato, ma pur sempre un novellino. Ma perché questo film è muto.
Più o meno. Diciamo che i due protagonisti dicono due parole per tutto il film. I loro nomi.
Più o meno. Diciamo che i due protagonisti dicono due parole per tutto il film. I loro nomi.
Di solito quando si adatta un film si gioca sul dialogo, si tagliano le scene mettendo l'inizio e la fine di uno scambio di battute, riassumento, giocando con l'intuizione del lettore, perdendo le sfumature per spingere sull'intensità dell'immagine.
Il fatto è che qui le sfumature SONO il film. E renderle in un numero così limitato di tavole (48), con una struttura leggibile a più livelli e a tutte le età è stata una sfida. Una sfida bellissima, badate, io adoro lottare su queste cose, spingere al limite le potenzialità di un mezzo e scontrarmi con i miei limiti, farmi male come un cocomero lanciato a 200 all'ora contro un muro di mattoni, e poi alla fine riuscire, un poco, a passare oltre.
Riprodurre in un pugno di vignette un gesto importante come quello della mano, rendere chiara la storia senza perdere le emozioni e tutto solo con i disegni, o quasi. Sì, ci sono delle didascalie (a dire il vero ce ne sono molte di più di quelle che ho messo originariamente io ma vabbé), ma tutto è affidato principalmente alla sequenza. Non a una vignetta, ma al susseguirsi delle vignette, al loro interrompersi, al salto, alla closure che devono comunicare la storia nel migliore dei modi possibile.
Tutto questo per dire compratela e ditemi che ne pensate (ok, ve lo ricorderò a ottobre) e che non sempre il fumetto commerciale - per così dire - è affettato e realizzato con superficialità. A volte si nasconde anche lì, tra compromessi e scelte imposte, un po' di sperimentazione.
Riprodurre in un pugno di vignette un gesto importante come quello della mano, rendere chiara la storia senza perdere le emozioni e tutto solo con i disegni, o quasi. Sì, ci sono delle didascalie (a dire il vero ce ne sono molte di più di quelle che ho messo originariamente io ma vabbé), ma tutto è affidato principalmente alla sequenza. Non a una vignetta, ma al susseguirsi delle vignette, al loro interrompersi, al salto, alla closure che devono comunicare la storia nel migliore dei modi possibile.
Tutto questo per dire compratela e ditemi che ne pensate (ok, ve lo ricorderò a ottobre) e che non sempre il fumetto commerciale - per così dire - è affettato e realizzato con superficialità. A volte si nasconde anche lì, tra compromessi e scelte imposte, un po' di sperimentazione.
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