martedì 17 gennaio 2012

C'era una vola il Virgin Megastore


Una cosa che ho scritto tantissimi anni fa. Nel 2005. È una storia breve. La posto senza nemmeno metterla a posto dove vorrei. Vale come un calcio in culo molto personale a me stesso.



Scendo di sotto dalle scale all'entrata, proprio da piazza Duomo. Chissà come sarà vederla per davvero, un suo concerto; suonerà tutte le canzoni che amo. Cerco la biglietteria, deve essere dove ricordo, in fondo al reparto musica internazionale. Vedo una ragazza carina, ma sta con un ragazzo; vorrei abbracciarla e intrufolarmi nella sua maglietta come se fosse la sua vita. Mi avvicino al banco dove la commessa è grassa e con gli occhi azzurri e profondi. Mi dice qualcosa, ma non capisco per via della musica che si sente nella stanza. Faccio il gesto di scrivere; chiedo sempre carta e penna. Me li porge. Scrivo piano a caratteri grandi, in stampatello, perché possa capire, quelle lettere che mi danno un po' di emozione a pensare che la vedrò davvero; ci tengo così tanto. T poi O poi R poi I, poi AMOS. Sento che mentre scrivo qualcuno mi osserva e non so se la vergogna è forte o debole. Ho perso l'abitudine.

La commessa risponde subito: "sopra cinque solo niente numeri". Faccio un respiro profondo: NON CAPISCO, le rispondo. Mi guarda in modo strano, soprattutto la bocca, ma i miei occhi non sono in bocca. Sento altre voci intorno che ripetono TORI AMOS, poi altro. La commessa ripete altre parole e sento crescere gli sguardi su di me. "ci sopra di SOPRA cinque", poi sento "quattro cinque NON ACCETTATO", così non va. NON PUÒ PARLARE PIÙ PIANO? I secondi si susseguono in unità e sento nella testa queste parole, capendole, distintamente: CI SONO I BIGLIETTI PER IL CONCERTO DI TORI AMOS? ripeto la mia richiesta con gentilezza; la ragazza carina è vicino a me, ma non mi guarda. Alla fine dico solo: DOVE DIAVOLO È E QUANTO COSTA? La commessa sgrana gli occhi, come sapevo avrebbe fatto, riflesso condizionato, ripetuto, lo conosco. Comincia a sudare, poi dice "sopra di sopra piano senza numerato di sopra DI SOPRA di sopra DI SOPRA DI SOPRA DI SOPRA". Alzo il  braccio, perché in questo modo so che funziona. Lei ripete la sua follia velocissima, ma alza il braccio e questo mi conforta. Risollevo il braccio e tutti, tutti quanti sollevano le braccia. Stanno tutti lì con le braccia alzate. Vado verso le scale contento. Poi nessuno mi guarda più. Salgo le scale e le altre scale e resto da solo, abbassando gli occhi. Mi arrabbio pensando che non è giusto, è lei che non sa parlare è lei che dovrebbe aiutarmi. Salgo ma non trovo nulla: un vecchio fotografo chiuso e una profumeria, nient'altro. Poi vedo le parole della commessa, AL MASSIMO TORNA GIÙ. Cazzo. La commessa che mi dice, invece, di tornare indietro, che mi scrive cosa, quanto e dove. Mi ricordo come ultima cosa che non è successo. È come se morissi, mi siedo sui gradini che si stringono. Tutto è vuoto, sporco e verdino. Scendo veloce le scale per tornare di sotto dalla commessa, farmi dire tutto, costringerla a farsi capire e forse a capire che non è giusto. Sono circondato da cartelli che vorrei urlare. Sono rossi, di tutti i tipi, ma rossi. Le luci mi avvolgono, in pieno giorno sono così artificiali. Una voce stretta stretta, dalle labbra di una ragazza, parole rosse; cerco di chiudere le orecchie ma non capiscono il comando. Parole dovunque e parole comunque. Vedo le parole di un video, i cartelli mi circondano, mi concentro sulle immagini. Il caos esterno non comprende il mio caos interno. Mi mordo le labbra così forte che vomitano sangue. (E poi forse la vedrò, suonerà tutte le canzoni che amo, e sarà lì, per davvero).
MI RENDO CONTO DI NON ESSERMI MOSSO. SONO ANCORA AI PIEDI DELLA SCALA, FERMO SU QUEL GRADINO. NON SO SE POSSO SCENDERE ORA.

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