VOLEVO UNA GUERRA – La storia del mio Cortometraggio
(ma anche FUCK YEAH!)
(ma anche FUCK YEAH!)
È stato strano, nuovo, eccitante e incasinato insieme. Ho scritto la sceneggiatura e non sapevo bene come fare perché non avevo mai realizzato un cortometraggio. Così ho chiesto aiuto a Lino Palena, che il regista lo fa per davvero - e che ci ha creduto così tanto (o forse l'ho solo fregato bene, ma non diteglielo) che è diventato co-produttore. Poi ho chiesto a Fulvio Vanacore che conosco da tantissimo tempo ed è un genietto della regia teatrale (e non solo) e abbiamo messo insieme i nostri tre cervelli e abbiamo organizzato una due giorni di casting per trovare gli attori. Sono venuti attori da Milano e non solo. Sono venuti e come nei film abbiamo fatto fare loro un provino. Per me era tutto nuovo, ma non è che potevo far vedere quanto la cosa mi esaltasse perché all'improvviso da sceneggiatore mi ero trasformato in produttore. Nel senso di Disney e Bruckheimer insieme. Dovevo fare quello serio e dovevo fare in modo che tutto andasse a buon fine. Non ne sono stato sicuro fino alla fine, giuro.
E insomma abbiamo trovato Miro Landoni, che potrebbe recitare una pagina di "termini e condizioni d'uso" della Apple e renderla indimenticabile. E Nicola Cavallari che è diventato subito il barista di cui avevamo bisogno.
C'erano tanti attori bravissimi a provarci, c'erano nomi grossi e nomi sconosciuti e avremmo voluto prenderli tutti, ma non si poteva. Non si può mai evitare di scegliere, no?
Umberto Ceriani e Marco Balbi (due dei più grandi attori italiani, punto) li ho raggiunti in un modo diverso. Fa ridere, ma ho scritto loro su Facebook. Forse non fa ridere, è così e basta. Ho spiegato quello che volevo fare e sono uscito con loro a bere un caffè. Prima con Umberto, poi con Marco. Ed è stato incredibilmente semplice. Ero intimorito all'idea di incontrare attori così importanti, ma mi è bastato raccontare loro quello che volevo fare, e come volevo farlo, per convincerli. Hanno detto sì, facciamolo, e abbiamo cominciato.
Abbiamo messo su la crew. Non è stato facile. Servivano professionisti che accettassero di crederci (ed essere pagati meno di quello che prendono di solito), che avessero due giorni liberi e un bel po' di fuoco dentro. Lino ha convinto quelli che avevano lavorato al suo primo corto, io ho rotto le scatole a tutti i miei amici perché mi mandassero loro amici, conoscenti, zie, cugini, ex e nipoti. Dopo molti no, forse, mai, alla fine era tutto pronto.
Monica Berardi era il cuoricino pulsante dei nostri piani di regia, Marco Sirignano ha curato la fotografia come fosse stato su un set di Sergio Leone e Riccardo Casiccia ha fatto da assistente operatore, sopportando Marco e Lino (era "supportando"?). Roberto Muratori faceva il capo elettricista e anche la squadra elettricista. Lillà Di Biase accendeva e spegneva il set, e Silvia Ortombina vestiva tutti - correndo, il giorno prima delle riprese, fra le case dei tre attori principali per costruire il loro personaggio al meglio, mandandomi le foto su whatsapp per decidere come sarebbero stati. Io intanto sceneggiavo roba Disney quindi potete capire come stavo a testa in quel periodo. Alice Pozza ha fatto le magie sul set, invecchiando gli attori come solo la Industrial Light & Magic potrebbe e leggendosi Tolkien nelle pause (giuro). È un genio di truccatrice e se non la chiamate per il vostro film siete dei babbani. A un certo punto, fino al giorno prima diciamo, non avevo né i fonici né i microfoni. Panico? Sì, a secchiate. Ma ho chiamato una persona speciale, un amico che quando gli ho detto che cosa volevo fare ha detto che lo avrebbe fatto subito perché voleva esserci al mio primo corto. Parlo di Gianluca Amendolara e del suo team di CELLARDOOR - gente che ha lavorato con Michael Pitt, tanto per dire. E Anthony Ricotta ci ha salvato dandoci tutta l'attrezzatura che serviva. Avevamo due giorni. Due giorni al Frizzi e Lazzi di Milano - per chi lo conosce non c'è molto da raccontare, per chi non lo conosce gli basta sapere che è un bar/locale rimasto identico a se stesso da tempo immemore come un film di Fernando di Leo.
Niente avrebbe funzionato senza i miei migliori amici, però. Che alla fine tutto lì si riduce. Agli amici veri. Alessandro Minoggi, Andrea Simonato e Tommaso Pedullà che facevano parte dello studio Absink, che erano lo studio Absink prima che chiudessimo, mi hanno salvato le chiappe. Correndo qui e là per i permessi, per le candeline del set che si consumavano troppo in fretta, per i pranzi. Hanno fatto tutto quello che bisognava fare e lo hanno fatto solo per amicizia.
Com'è un set?
Madonna santa. È bellissimo. Ho capito perché tutti vogliono fare cinema. Perché sei lì con le cose che ti succedono davanti e ne sei il dio, rimodelli la realtà a tuo piacimento. Crei un mondouniverso e ci giochi. Ecco. È come giocare e puoi farlo quanto e come vuoi, perché le regole a cui devi sottostare sono le tue solamente.
Ho perso dieci anni di vita a ogni casino, a ogni errore o scena che non funzionava. Avevamo solo due giorni e poi tutti sparivano, tornando alle loro vite. La sera il Frizzi e Lazzi lavorava quindi noi arrivavamo alle 7 del mattino, mettevamo su il set e sbaraccavamo alla sera alle 6 per poi ricominciare il giorno dopo. Spostando un dannato frigo dei gelati da dentro a fuori da fuori a dentro per 4 volte al giorno. Lo odiavo quel frigo.
La faccio breve. Abbiamo finito di girare, con Zoe Vincenti che faceva le foto di scena (vere foto di scena da una vera fotografa) e Camilla Ronzullo che registrava la voce per la radio finale (sei un angelo). Abbiamo dato l'ultimo ciak, caricato le nostre cose sulle auto, rimesso a posto il frigo dei gelati e messo le sedie sui tavoli dietro di noi. E quella cosa speciale che per due giorni ci ha fatto giocare, ridere e commuovere si è dissolta. Onestamente, per noi erano solo due giorni, ma io non lo so come fanno quelli che il cinema lo vivono, che stanno sui set per mesi. Come fanno a non star male quando finisce? Ci vuole qualcosa di importante a casa che ti aspetta secondo me, o un progetto nuovo dove buttare tutta quella emozione, se no affoghi.
Chiuso per un cavolo, però. Lino, Marco e io abbiamo lavorato sulla color e sul montaggio, Antonio Petrotta sull'editing audio, amici segreti sulle musiche (che sono pazzesche, fidatevi). Ci sono voluti MESI per arrivare al risultato finito. Una faticaccia, che però alla fine passa via leggera. Guardi quei 10 minuti e dici… dio, l'ho fatto davvero. Non è il cortometraggio più bello del mondo, lo so, non è Kubrick e non è manco Nash Edgerton eh, ma ha cuore e cervello e racconta di tre vecchietti che un po' conoscete tutti quanti. A me come inizio basta.
Si chiama Volevo Una Guerra. I protagonisti sono tre.
E insomma abbiamo trovato Miro Landoni, che potrebbe recitare una pagina di "termini e condizioni d'uso" della Apple e renderla indimenticabile. E Nicola Cavallari che è diventato subito il barista di cui avevamo bisogno.
C'erano tanti attori bravissimi a provarci, c'erano nomi grossi e nomi sconosciuti e avremmo voluto prenderli tutti, ma non si poteva. Non si può mai evitare di scegliere, no?
Umberto Ceriani e Marco Balbi (due dei più grandi attori italiani, punto) li ho raggiunti in un modo diverso. Fa ridere, ma ho scritto loro su Facebook. Forse non fa ridere, è così e basta. Ho spiegato quello che volevo fare e sono uscito con loro a bere un caffè. Prima con Umberto, poi con Marco. Ed è stato incredibilmente semplice. Ero intimorito all'idea di incontrare attori così importanti, ma mi è bastato raccontare loro quello che volevo fare, e come volevo farlo, per convincerli. Hanno detto sì, facciamolo, e abbiamo cominciato.
Abbiamo messo su la crew. Non è stato facile. Servivano professionisti che accettassero di crederci (ed essere pagati meno di quello che prendono di solito), che avessero due giorni liberi e un bel po' di fuoco dentro. Lino ha convinto quelli che avevano lavorato al suo primo corto, io ho rotto le scatole a tutti i miei amici perché mi mandassero loro amici, conoscenti, zie, cugini, ex e nipoti. Dopo molti no, forse, mai, alla fine era tutto pronto.
Monica Berardi era il cuoricino pulsante dei nostri piani di regia, Marco Sirignano ha curato la fotografia come fosse stato su un set di Sergio Leone e Riccardo Casiccia ha fatto da assistente operatore, sopportando Marco e Lino (era "supportando"?). Roberto Muratori faceva il capo elettricista e anche la squadra elettricista. Lillà Di Biase accendeva e spegneva il set, e Silvia Ortombina vestiva tutti - correndo, il giorno prima delle riprese, fra le case dei tre attori principali per costruire il loro personaggio al meglio, mandandomi le foto su whatsapp per decidere come sarebbero stati. Io intanto sceneggiavo roba Disney quindi potete capire come stavo a testa in quel periodo. Alice Pozza ha fatto le magie sul set, invecchiando gli attori come solo la Industrial Light & Magic potrebbe e leggendosi Tolkien nelle pause (giuro). È un genio di truccatrice e se non la chiamate per il vostro film siete dei babbani. A un certo punto, fino al giorno prima diciamo, non avevo né i fonici né i microfoni. Panico? Sì, a secchiate. Ma ho chiamato una persona speciale, un amico che quando gli ho detto che cosa volevo fare ha detto che lo avrebbe fatto subito perché voleva esserci al mio primo corto. Parlo di Gianluca Amendolara e del suo team di CELLARDOOR - gente che ha lavorato con Michael Pitt, tanto per dire. E Anthony Ricotta ci ha salvato dandoci tutta l'attrezzatura che serviva. Avevamo due giorni. Due giorni al Frizzi e Lazzi di Milano - per chi lo conosce non c'è molto da raccontare, per chi non lo conosce gli basta sapere che è un bar/locale rimasto identico a se stesso da tempo immemore come un film di Fernando di Leo.
Niente avrebbe funzionato senza i miei migliori amici, però. Che alla fine tutto lì si riduce. Agli amici veri. Alessandro Minoggi, Andrea Simonato e Tommaso Pedullà che facevano parte dello studio Absink, che erano lo studio Absink prima che chiudessimo, mi hanno salvato le chiappe. Correndo qui e là per i permessi, per le candeline del set che si consumavano troppo in fretta, per i pranzi. Hanno fatto tutto quello che bisognava fare e lo hanno fatto solo per amicizia.
Com'è un set?
Madonna santa. È bellissimo. Ho capito perché tutti vogliono fare cinema. Perché sei lì con le cose che ti succedono davanti e ne sei il dio, rimodelli la realtà a tuo piacimento. Crei un mondouniverso e ci giochi. Ecco. È come giocare e puoi farlo quanto e come vuoi, perché le regole a cui devi sottostare sono le tue solamente.
Ho perso dieci anni di vita a ogni casino, a ogni errore o scena che non funzionava. Avevamo solo due giorni e poi tutti sparivano, tornando alle loro vite. La sera il Frizzi e Lazzi lavorava quindi noi arrivavamo alle 7 del mattino, mettevamo su il set e sbaraccavamo alla sera alle 6 per poi ricominciare il giorno dopo. Spostando un dannato frigo dei gelati da dentro a fuori da fuori a dentro per 4 volte al giorno. Lo odiavo quel frigo.
La faccio breve. Abbiamo finito di girare, con Zoe Vincenti che faceva le foto di scena (vere foto di scena da una vera fotografa) e Camilla Ronzullo che registrava la voce per la radio finale (sei un angelo). Abbiamo dato l'ultimo ciak, caricato le nostre cose sulle auto, rimesso a posto il frigo dei gelati e messo le sedie sui tavoli dietro di noi. E quella cosa speciale che per due giorni ci ha fatto giocare, ridere e commuovere si è dissolta. Onestamente, per noi erano solo due giorni, ma io non lo so come fanno quelli che il cinema lo vivono, che stanno sui set per mesi. Come fanno a non star male quando finisce? Ci vuole qualcosa di importante a casa che ti aspetta secondo me, o un progetto nuovo dove buttare tutta quella emozione, se no affoghi.
Chiuso per un cavolo, però. Lino, Marco e io abbiamo lavorato sulla color e sul montaggio, Antonio Petrotta sull'editing audio, amici segreti sulle musiche (che sono pazzesche, fidatevi). Ci sono voluti MESI per arrivare al risultato finito. Una faticaccia, che però alla fine passa via leggera. Guardi quei 10 minuti e dici… dio, l'ho fatto davvero. Non è il cortometraggio più bello del mondo, lo so, non è Kubrick e non è manco Nash Edgerton eh, ma ha cuore e cervello e racconta di tre vecchietti che un po' conoscete tutti quanti. A me come inizio basta.
Si chiama Volevo Una Guerra. I protagonisti sono tre.
Il primo si chiama Ugo Galimberti, detto Ray Charles. Ha 70 anni. Ugo è un impiegato in pensione che sognava di avere la villa col giardino. La sua prima moglie e il suo unico figlio sono morti, e ora la seconda moglie ha chiesto il divorzio. A Ugo non gli si rizza più. Lo chiamano Ray Charles perché secondo Renato Cosimo detto il Ciccio, suo cognato, il problema del suo uccello era che non ci vede più. Se no col cavolo che mancherebbe il buco a quella zoccola di sua moglie.
Il secondo si chiama Franco Golino, ma il suo nome d’arte è Frank il Divo Gondola. Frank Gondola ha 73 anni, è stato al Maurizio Costanzo Show e ha recitato nelle fiction in prima serata su Raiuno. Per campare adesso fa la pubblicità del mascarpone. Sognava di diventare il Marlon Brando della Valtellina.
Il terzo si chiama Thomas Scarpelli, ma l’unico nome con cui lo hanno mai chiamato è Scarpa. Scarpa ha 76 anni e un appartamento vicino a un cavalcavia. Compie borseggi e furti negli ospedali, e si ubriaca con i ragazzini nei locali di Milano. È stato arrestato due volte ma non è mai finito in cella. Una volta ha rubato un camion carico di scarpe da ginnastica, ma ha dovuto regalarle tutte perché non le voleva nessuno.
Penso che sia tutto. Cioè. No.
Questa è la fine, manca la premessa e ve la metto in fondo così non potete saltarla. Tutto è cominciato prima. Con il romanzo.
Tre anni fa ho scritto un romanzo, di notte. È una cosa che faccio spesso, anche se lentamente. Il romanzo si chiama Volevo Una Guerra e ci arrivate anche da soli che è lo stesso titolo. I protagonisti sono gli stessi, i tre vecchietti più un altro che si chiama Lino Rossi e non fa una bella fine.
Quindi il corto è il trailer del libro? No.
Quindi il corto è una scena del libro? No.
Quindi il corto è il libro? No.
In realtà se lo leggeste sapreste che la storia è diversa da quella del corto. È una cosa che non ha senso. Sono gli stessi personaggi identici che fanno un’altra cosa. Non ho bene idea del perché, ma penso sia l’unico modo di fare le cose.
Resta un'ultima cosa da dire. Anzi due. La prima è che il corto è in concorso all’Edimburgh Short Film Festival di quest’anno. Incrociate le dita per me, per Lino, per noi, per i tre vecchietti al bar.
La seconda è grazie. A tutti. A quelli che c'erano, a quelli che mi hanno sopportato (o era "supportato"?), a quelli che mi hanno ascoltato e consigliato giorno e notte. Ad Alessandro Minoggi che è rimasto con me fino alle due, la notte di giovedì, a fare la guardia al set smontato.
Grazie per aver giocato con me.
Ah, dimenticavo.
Adesso ho intenzione di trasformarlo in un fumetto.
(le foto sono ©Zoe Vincenti e ©Alessandro Minoggi)
(le foto sono ©Zoe Vincenti e ©Alessandro Minoggi)