martedì 17 gennaio 2012

C'era una vola il Virgin Megastore


Una cosa che ho scritto tantissimi anni fa. Nel 2005. È una storia breve. La posto senza nemmeno metterla a posto dove vorrei. Vale come un calcio in culo molto personale a me stesso.



Scendo di sotto dalle scale all'entrata, proprio da piazza Duomo. Chissà come sarà vederla per davvero, un suo concerto; suonerà tutte le canzoni che amo. Cerco la biglietteria, deve essere dove ricordo, in fondo al reparto musica internazionale. Vedo una ragazza carina, ma sta con un ragazzo; vorrei abbracciarla e intrufolarmi nella sua maglietta come se fosse la sua vita. Mi avvicino al banco dove la commessa è grassa e con gli occhi azzurri e profondi. Mi dice qualcosa, ma non capisco per via della musica che si sente nella stanza. Faccio il gesto di scrivere; chiedo sempre carta e penna. Me li porge. Scrivo piano a caratteri grandi, in stampatello, perché possa capire, quelle lettere che mi danno un po' di emozione a pensare che la vedrò davvero; ci tengo così tanto. T poi O poi R poi I, poi AMOS. Sento che mentre scrivo qualcuno mi osserva e non so se la vergogna è forte o debole. Ho perso l'abitudine.

martedì 10 gennaio 2012

2012 cose


Scrivendo una sceneggiatura dopo l'altra.
Una nuova puntata di una serie live action per Luxvide. E la graphic novel di Frankenweenie. Sì, quello nuovo di Tim Burton. Di cui non posso dire nulla, ma presto magari sì.

Scrivendo altro – un libro, un gioco di card, un progetto grande di card e libri insieme – insomma, ho pensato a una cosa.
Sarà forse per Collateral o per Drive, che sono un po' la stessa cosa. O forse per Game of Thrones.

Ho pensato a un personaggio. A uno che si tira le sberle in testa per svegliarsi, perché crede sempre di essere addormentato. Che si spacca il palmo della mano sul cranio, che si schiaffeggia. E tira i muscoli del collo e delle mani. Uno che sa bene che il tempo guarisce tutto. Lo ripete a tutti. Il tempo cancella tutto. Lo dice anche a me, io dico sei sicuro e lui giù a ripetere fidati. Se gli dai abbastanza tempo, al cuore, cancella anche tua madre. O tuo padre o il tuo cane o l'amore della tua vita - ammesso che esista una cosa come l'amore di una vita intera, dall'inizio alla fine - almeno lo cancella nel senso che non ci pensi ogni minuto, ogni ora, ogni fottuto secondo che la tua testa non è occupata per forza in qualcosa come il lavoro, le bollette, il calcolo della parabola di una palla in una partita. Quindi sì, dopo si sta meglio. Così mi dice, mi convince. Quello che pensavi che era eterno e importantissimo per te, come la pelle che ti tiene insieme, poi scopri che non lo era. Non dire che è impossibile, mi ripete. E capisco che per lui, lui che si prende a colpi per svegliarsi, sono scemo a credere che non sia così. Un completo idiota. Perché è così e basta. Cambi città, cambi lavoro, cambi panettiere e bam, d'improvviso non ci pensi più a quella cosa. Parola d'onore, il tempo guarisce ogni cosa.

Il problema, però, non è il tempo che passa e ti aiuta. Mi fermo. Mi guarda. Il problema non è non pensare alle cose, al passato, a quello che non è più qui. Il problema è che quello che è stato c'è ancora. Lì, in quel momento. Alle cose non ci pensi più, ma non serve a niente. Se hai tradito tua moglie, poi puoi anche non pensarci ma lo hai fatto, in quel preciso momento è ancora lì come un marchio e tu sei lì che le vieni dentro guardando la giacca che si stropiccia sulla poltrona, magari pensando che non lo farai più anche se la settimana dopo scoprirai di averti mentito. Forse per te non è un problema, mica sto dicendo di no, ciò non toglie che lo hai fatto. Se da piccolo ti picchiavano a scuola, ti cacciavano la testa nella turca del bagno delle ragazze, ti menavano dietro l'angolo del campetto scatarrandoti in gola e costringendoti a ingoiare, in tre che puzzavano di fumo e te lo soffiavano negli occhi per farti piangere, beh, quella cosa è presente. È lì, ferma, indelebile come un cazzo di universo. Forse per te è acqua passata, ma non vuol dire che non te l'abbiano fatto. Sono cose indelebili, più indelebili del sole stesso. Puoi dimenticarle, ma non puoi evitare che esistano. Così mi dice.
Ma mi dice anche un'altra cosa. Questo significa anche che le persone che hai perduto, quelle importanti, quelle che hai amato, continuano ad amarti. Il tuo cane è ancora accanto a te, che scappa correndo in un prato. E lei è ancora sulla rubrica del telefono di casa tua, perché è ancora viva. È una cosa confortante, no?

Non lo so. Per me non funziona così, credo. A me viene più facile veder lì le cose brutte. Sono quelle che fatico davvero a dimenticare, anche se non ci penso spesso. Le cose belle invece sbiadiscono sempre troppo facilmente. Come i quaderni scritti con la stilografica della pelikan. A sfogliarli adesso sembrano fantasmi di parole, che stanno scomparendo come la foto di Ritorno al Futuro.
Anzi, ora che ci penso, di solito faccio un'altra cosa io. Trasformo le cose brutte in cose belle. Visto che sono così indelebili, così grandi, facci finta che le cose brutte siano cose belle. Le cambio, le travesto, mi invento che sono bellissime e che mi hanno fatto felice quando in quel momento, in quel preciso momento non è stato affatto così. È il mio modo di fregare tutti.


(Buon Anno)
(No, non sparirò di nuovo per altri tre mesi)
(Magari solo due)